Livida e tacita
Scendeva la notte
Sul cielo grigio di Marzo in Iraq
Buia e muta
Bandiva via l'ultimo chiarore
Di quel giorno ormai sbiadito
Sul verde bassopiano tra i due fiumi
Della matria terra d'Iraq
Cupa e inaspettata
entrava in scena un'altra luce
Sopra i minareti, i bei giardini sabbiosi e i palmeti
ove s'intravedono tutt'intorno i panni distesi
Dai davanzali di mattoni tersi
Sopra le minute teste dei bambini
Dormienti
Quella sera nelle strade di Baghdad
Pesante e minacciosa
S'avvertiva da lontano farsi strada
Sulla scia d'un passato non poi tanto Remoto
Una voce
Estranea spietata vigliacca
Incontrastata come tuono che avanza
A invocare mannaro di nuovo
Le spaventose tenebre
Nell'intervallo di tempo raffermo
Della spietata ora funebre
lungo i vicoli deserti di quella città
Quale ira spropositata di mostro fatto umano
Non si fa attendere la bomba
non avendo sede
né dimora
ma solo ansia multiforme
E senza proporzione
di dominio scellerato
L'esplosione vorace
Ingorda
Divora
Trita tracanna
Ingoia
L'inerme ventre della terra
Squarcia affondando nelle radici
Rende tutto intorno eguale maceria
trangugia ruggisce rutta
Non fa differenza la sua fame
con la bramosia di potere in seno all'infame bestia umana
Azzannando fili d'erba nella boscaglia spezzando pilastri di pietra
Come membra di uomini e di donne
Un fumo grigio s'espande misto all'odore
Nauseabondo delle carni e del sangue
Del più debole.
Il più debole
Nel territorio dominato dal tiranno mostro Tecnologico incontrastato della scienza
L'umano ormai si fa antiquato
Come inutile fardello in fase di demolizione
E rimanda il suo sussulto
Congenito immanente flebile
Rassegnando le dimissioni e abdicando tutto il suo spazio
Destinato alla misera sorte.
Cupa e silenziosa scendeva la notte
Sui deserti e le ampie distese verdi
Nella fertile terra fra i due fiumi laggiù in Iraq
Cupa e silenziosa scendeva un'altra bomba
In un ripetuto Marzo
come quello immemore dell'88
ad Halabja sempre in Iraq
Bomba anche quella
che fu silenziosa e fu chimica
Profumava addirittura di un buon odore di mela pungente
Ma quel dolce aroma di frutto pregnante era in realtà letale
Bruciando piano piano tutto il corpo
Mentre ogni polmone veniva inondato
Da quell'effluvio, la combustione partiva Lenta da dentro;
Ma in pochi ricordano:
Il popolo dei curdi non ha nome in Iraq.
Cupo e silenzioso se ne andava via anche il sole
Tramontando sulle praterie e lungo il deserto d'oro
salutando il monte Zagros
Calando il sipario
Mestamente
Sulla piatta pianura uniforme che rincorre il Golfo Persico
Sulle distesa informe che trasuda nugoli
di tempeste di sabbia lungo il Tigri
Dinanzi la città capitale d'Iraq come in quella vicina,
l'antica bella Babilonia.
È una guerra ancora
ma quale sarà sta volta il nuovo Sacro Graal?
Sangue rosso o sangue nero
Di pece
Dentro il sacro calice
In cui affogano i petroldollari
Pronti a essere divorati
Da qualche predatore in Borsa
Come nella manovra di un panzer
Sangue rosso o sangue nero
inzuppato dalla longa manus
del mostro sacro della finanza
di Wall Street
Con un apparentemente innocuo pezzetto di pane
che pende come lama
Sull'antica terra di Mesopotamia
E questo pane fa rima con speculazione
E serve a sfamare le migliaia di bocche affamate, dei titoli e delle azioni
All'ombra del grande platano americano
lungo la ruvida scia dell'American dream
Eppure, mai niente e nessuno
Né la furia del potere
O la tirannia dell'uomo
Potrà mai vagliare il peso
di un'altra bomba sganciata
nel ventre fertile d'Iraq
Eppure verrà il giorno
Che del feroce sussulto di un'altra guerra
In quella che fu una culla della civiltà
Dovrà rendere conto l'intera umanità
Anticipando la sua stessa estinzione
Nel sangue rappreso dell'empia viltà
Di un matricidio.
Perché finché l'uomo si travestirà da soldato
Tramutandosi in veicolo o velivolo di morte
Un cacciabombardiere un Little Boy qualunque
Dando all'aereo-bomba come all'arma assassina
Che impugna, il nome di chi lo teneva nel ventre
Egli non sarà mai riconciliato
con la vera natura ed essenza della madre
Che infine risiede in quella stessa terra primigenia
che egli, con tanta tirannia, ripudia e colpisce.
- Enola Gay,
rieccheggia ancora questo nome
nella testa, nella mente di chi non vuole dimenticare - .